(Boston 1809 - Baltimora 1849) scrittore statunitense. La vita Figlio di attori girovaghi, fu accolto, a due anni, nella casa di un ricco mercante di Richmond, John Allan, che lo allevò senza adottarlo legalmente. Il difficile rapporto con questa figura paterna sostitutiva inasprì in P. il trauma dell’abbandono del padre e quello della morte precoce della madre, la cui immagine si fissò ossessivamente nella sua memoria inconscia. Nel 1815, in Inghilterra con gli Allan, iniziò gli studi, continuati al ritorno, nel 1820, prima a Richmond, poi, per breve tempo, all’università della Virginia. Accusato di debiti di gioco, si trasferì a Boston, dove pubblicò il primo volume di poesie, Tamerlano e altre poesie (Tamerlane and other poems, 1827), d’impronta byroniana. Inseguendo, di se stesso, un’immagine romantica, P. si arruolò nell’esercito e, nel 1830, fu ammesso all’Accademia di West Point, dalla quale fu espulso, dopo qualche mese, per infrazioni disciplinari. Raggiunta a Baltimora la zia Maria Clemm, cominciò a pubblicare i primi racconti sul «Courier». Nel 1835 entrò nella redazione del «Southern Literary Messenger» di Richmond; l’anno successivo sposò la cugina non ancora quattordicenne Maria Clemm, figura, come la madre, della bellezza destinata alla morte. Tra difficoltà economiche e inquietudini esistenziali, continuò la carriera di giornalista, di critico letterario, di narratore. Nel 1840 uscirono a Filadelfia i Racconti del grottesco e dell’arabesco (Tales of the grotesque and the arabesque); nel 1843 comparve, ottenendo un eccezionale successo, Lo scarabeo d’oro (The gold bug), racconto che combina le sottigliezze della crittografia con il tema fiabesco del tesoro sepolto; nel 1845 Il corvo e altre poesie (The raven and other poems) gli diede la celebrità. Ma dopo la morte della moglie, nel 1847, la sua vita quotidiana parve disintegrarsi sotto il peso delle sue ossessioni, la tendenza all’alcolismo assunse un decorso morboso, la solitudine un tono allucinato: nell’ottobre 1849 P. fu trovato privo di sensi in una strada di Baltimora; morì in ospedale dopo qualche giorno, probabilmente di emorragia cerebrale. Gli scritti teorici I più importanti scritti teorici di P. sono Fondamento del verso (The rationale of verse, 1843), La filosofia della composizione (The philosophy of composition, 1846), Il principio poetico (The poetic principle, apparso postumo nel 1850). Tradotti, in parte, e ripresi, in Francia, da Baudelaire, questi saggi − a cui si aggiungono Marginalia e Eureka (1848) − ebbero un ruolo fondamentale nella critica condotta dalla cultura moderna contro i concetti romantici di ispirazione e di spontaneità creativa. In modo a volte provocatorio e paradossale P. sottolinea infatti la possibilità di costruire il testo letterario pezzo per pezzo come in un montaggio, verificandone in anticipo la riuscita, e gli effetti sul lettore. Anche la sua poesia, poco apprezzata dalla critica anglosassone, che le rimproverava appunto la ricerca di una musicalità «meccanica» e l’artificiosità dell’invenzione, fu subito considerata in Europa (grazie anche alle traduzioni/decostruzioni di Mallarmé) tra le più dirette anticipazioni dell’esperienza simbolista per la sua potenza suggestiva e insieme per la ricerca esatta di un’architettura verbale. I racconti La grande fama di P. è affidata, tuttavia, ai suoi Racconti: secondo un elenco compilato dall’autore stesso i migliori sarebbero Ligeia, Il crollo della casa Usher (The fall of the house of Usher), William Wilson, Il cuore rivelatore (The tell-tale heart), Il gatto nero (The black cat), tra i racconti del terrore; Una discesa nel Maelström (A descent into the Maelström) tra quelli «metafisici»; Gli omicidi della Rue Morgue (Murders in the Rue Morgue) e La lettera rubata (The purloined letter) tra quelli «polizieschi», che hanno per protagonista l’investigatore-artista Auguste Dupin. Ma altri se ne potrebbero aggiungere, da L’uomo della folla (The man of the crowd), ritratto, ricchissimo di intuizioni, della metropoli moderna, al bizzarro Il diavolo nel campanile (The devil in the belfry). Se i moduli usati da P. derivano in parte dalla tradizione «gotica» inglese, in parte dai racconti fantastici di E.T.A. Hoffmann, i temi ricorrenti della sua narrativa, nutriti di ossessioni personali, sono trascritti in figure, situazioni o simboli che trascendono l’origine psichica per farsi linguaggio: quasi geroglifici di un nuovo alfabeto dell’incubo. Nell’unico romanzo di P., Le avventure di Gordon Pym (The narrative of Arthur Gordon Pym, 1838), resoconto di un immaginario viaggio per mare alla ricerca del polo Sud, l’artificio della scrittura invade l’universo: i labirintici baratri di un’isola sconvolta dal terremoto corrispondono a caratteri alfabetici e un’arcana figura si eleva, nel finale, bianca da uno spazio bianco, prefigurazione degli arcani del Moby Dick di H. Melville. La fortuna e le interpretazioni critiche Scrittore dall’invenzione potente, creatore o anticipatore di generi letterari inediti, dal «poliziesco» alla fantascienza, apparentemente sradicato dalla società americana del suo tempo, in realtà interprete lucidissimo dei suoi incubi, negati o rimossi, P. è stato ammesso con il ritardo di quasi un secolo nel numero dei grandi della letteratura del suo paese. Mentre in Europa nasceva, sulla scia degli entusiasmi francesi, il mito di P. come poeta maledetto dai lineamenti tipicamente romantici, o come simbolista ante litteram, o come teorico dell’arte per l’arte, l’America lo considerava alla stregua di uno straniero, di un deviante, di un giullare. Soltanto con gli studi di T.S. Eliot e di A. Tate la sua opera è stata ricollocata al centro della tradizione americana. Oggi non solo si è riconosciuta la grandezza e l’unicità della sua temeraria, affascinante indagine nel mondo del mistero, ma si è compresa anche, pienamente, la modernità gnoseologica del suo paradosso per il quale «l’ingegnoso è sempre fantastico e l’autentico immaginario sempre analitico». Se l’interpretazione psicanalitica − avviata dall’allieva di Freud, Marie Bonaparte, e proseguita, fra gli altri, da Lacan − ha permesso che si approfondisse, in un secondo tempo, il rapporto dei materiali narrativi di P. con il mito, la lettura teorica delle sue opere − avviata da Mallarmé e estesa, sia in Europa sia in America, dagli studiosi della «testualità» − ha indicato in P. uno dei moderni fondatori di quelle poetiche e pratiche artistiche che fanno della «scrittura» il proprio fine e il proprio spazio.