"Nome d'arte di Joseph Francis K. VI, attore, sceneggiatore e regista statunitense. Figlio di Joe e Mary K., attori-acrobati di vaudeville, secondo la leggenda riceve il suo nickname (Buster) da Harry Houdini a sei mesi di vita, quando esce indenne da una caduta per le scale nel corso di un «numero» dei genitori che se lo lanciavano l'un l'altro sulla scena come un pallone da rugby. Dopo un'infanzia e la prima giovinezza spesa sui palcoscenici, nel 1917, quando il padre deve ritirarsi per problemi di alcolismo, esordisce nel cinema in una comica (The Butcher Boy, Il garzone del macellaio) di R. «Fatty» Arbuckle, con il quale gira poi un'altra quindicina di cortometraggi tutti incentrati sul contrasto fisico e caratteriale: grasso, eccessivo e ingenuo come un bambino «Fatty», magro, piccolo e con l'aria sempre seria di chi ha i piedi per terra Keaton. Decaduta la stella di «Fatty» (coinvolto in uno scandalo sessuale da cui poi viene assolto), nel 1920 interpreta il lungometraggio The Saphead (Lo sciocco) di H. Blache e subito dopo debutta nella regia con il cortometraggio The High Sign (Il segno di riconoscimento, 1921). Tra il 1920 e il 1922 realizza una ventina di corti, di cui è regista e spesso produttore, con i quali mette a punto il suo paradigma di gag (spesso legate alle sue grandi capacità acrobatiche) e il suo personaggio: un uomo eternamente in lotta contro il mondo e, ovviamente, la malvagità umana, che con la sua serietà (secondo contratto non poteva ridere mai), il suo carattere volitivo e determinato (connotato da un volto sempre impassibile, sia nella cattiva che nella buona sorte), alla fine riesce sempre a coniugare la vittoria nell'amore con il successo sociale e la ricchezza (ma più nel sogno che nella realtà, come indicano molti suoi film in cui successo e amore gli «cascano» addosso). A parte i film in cui è prioritaria la lotta con gli oggetti (One Week, 1920, dove deve montare una casa prefabbricata, secondo istruzioni errate; The Haunted House, 1921, in cui deve salvarsi da mille trabocchetti; The Electric House, 1922, dove è un ingegnere progettista di una casa super meccanizzata in cui alla fine tutto funziona a rovescio per il boicottaggio di un rivale) e quelli in cui si scontra con la malvagità degli uomini invidiosi e interessati (The High Sign e Neighbors, 1920; My Wife's Relations, 1922 e, soprattutto, The Paleface, 1921, in cui si pone a capo di un gruppo di nativi americani per difendere i loro interessi contro una compagnia petrolifera che li vuole espropriare), più interessanti risultano le commedie in cui anticipa il personaggio hitchcockiano del «giovane innocente» accusato di colpe che non ha commesso (The Goat, 1921, in cui è scambiato per un ricercato; Cops 1922, in cui viene preso per un terrorista) e soprattutto quelli che mostrano la sua surreale vena umoristica e la sua maestria nella regia cinematografica, come The Scarecrow (1920), dove trasforma una piccola stanza in un appartamento grazie alla sua ingegnosità; The Playhouse (1921) dove, con sapienti sovrimpressioni, mette in scena uno spettacolo onirico in cui tutti gli interpreti e le persone del pubblico hanno il suo viso, e soprattutto Day Dreams (1922), in cui anticipa molta della sua futura poetica fondata sulla scissione-contrapposizione sogno/ realtà, nella storia di un giovane emigrante in cerca di fortuna che in effetti non riesce affatto a porre in essere il mito del «self made man» (celebre la gag acrobatica in cui prendendo al volo un tram rimane sospeso a mezz'aria in posizione orizzontale). Nel 1923 passa al lungometraggio con The Three Ages (edito in Italia come Senti, amore mio o L'amore attraverso i secoli), diviso in tre episodi (ambientati nella preistoria, in epoca romana e negli Stati Uniti del 1923) che esplicitamente si presenta come una parodia di Intolerance (1916) di D.W. Griffith. Lo stesso anno realizza Accidenti che ospitalità, parodia del melodramma e satira sulla società americana di fine Ottocento e sui suoi sorpassati valori, e l'anno successivo Sherlock Jr. (edito in Italia con gli assurdi titoli: La palla n. 13 o Calma signori miei!), uno dei suoi capolavori, molto amato dai surrealisti e, ancor oggi, una delle più importanti riflessioni sulla pericolosa empatia che produce il cinema attraverso l'immedesimazione nei personaggi di finzione. Dello stesso anno è Il navigatore, epica di un miliardario depresso per una delusione amorosa che si ritroverà a dover governare da solo una grande nave e, così facendo, riuscirà a conquistare l'amore della ragazza che l'aveva respinto. Nel 1925, dopo il divertente ma meno pregnante Seven Chances (Le sette probabilità), realizza Go West (in italiano Io e la vacca), nuova satira sulla falsità del mito degli Stati Uniti come terra che dà a tutti la possibilità di diventare ricchi (esemplare da questo punto di vista la gag iniziale in cui cammina controcorrente in una grande città ed è costretto a sedersi sul bordo di un marciapiede e quella nel Far West in cui pone un secchio sotto una mucca e si siede ad aspettare, perché nessuno gli ha detto che le mucche vanno munte). Dopo Battling Butler (Io e la boxe, 1926), altro film su un miliardario viziato che deve trasformarsi in rude uomo abile nella «nobile arte» dei pugni, realizza nel 1927 The General (Come vinsi la guerra), considerato il suo capolavoro assoluto e ancora oggi annoverato dai critici fra i dieci film più importanti della storia del cinema, in cui K., piccolo manovratore sudista di una locomotiva (The General, appunto), riesce a vincere da solo la guerra contro i nordisti. Dello stesso anno è College (Tuo per sempre), satira contro l'istituzione scolastica statunitense in cui la gloria sportiva prevale su quella dello studio, mentre nel 1928 realizza Steamboat Bill Jr. (Io e il ciclone), altra parodia del melodramma epico, in cui un giovane di natali medio-bassi deve salvare un intero villaggio per ottenere dal ricco padre il permesso di impalmare la sua amata figlia. Fino a questo momento produttore di sé stesso e quindi libero e indipendente, coregista di tutti i suoi film (anche se ufficialmente la regia risulta spesso di altri), K. commette l'errore di liquidare la sua società e di legarsi mani e piedi alla mgm. Per il primo film può ancora godere di una buona autonomia e il risultato è un altro capolavoro, The Cameraman (Io e la scimmia, 1928), ulteriore importantissimo capitolo della sua riflessione sul cinema, mostrato sia come documento veritiero della realtà sia come suo doppio spesso falso. A partire dal successivo Spite Marriage (Io e l'amore, 1929) comincia però a perdere la sua indipendenza e, stretto nelle ferree regole dello studio-system, nei film successivi – da Free and Easy (Chi cerca trova, 1930 a What! No Beer? (Evviva la birra, 1933) – non riesce più a esprimersi al meglio. A questa decadenza contribuiscono il doloroso divorzio dalla moglie nel 1932 e la dura battaglia che combatte e perde contro l'alcolismo. Nel 1935 è costretto a farsi ricoverare in clinica e, quando ritorna alla mgm, tutto ciò che gli viene offerto è di scrivere gag per gli altri e di curare ancora la regia di qualche film minore, ma la società non è più disposta a scommettere su di lui come comico, nonostante, con la sua bella voce baritonale, potesse affrontare il sonoro senza problemi. Il suo periodo oscuro sarà interrotto da qualche isolato lampo, come l'intervento dal vivo al circo Medrano a Parigi nel 1947, i cammei in Viale del tramonto (1950) di B. Wilder e Questo pazzo pazzo pazzo pazzo mondo (1963) di S. Kramer, la partecipazione a Luci della ribalta (1952) di C. Chaplin e l'Oscar alla carriera che gli viene conferito nel 1960. Nel mentre, per poter sopravvivere, si deve accontentare di scrivere per altri o ridursi a partecipare a «squalificanti» film come Due marines e un generale (1965, di L. Scattini) al fianco di F. Franchi e C. Ingrassia. Per sua fortuna, poco prima di morire, A. Scheneider lo chiamerà a interpretare il surreale e criptico cortometraggio Film (1966), da un'idea di S. Beckett, che renderà giustizia alla sua grande arte. A parte Hard Luck (1921) e The Love Nest (1923), spesso citato come il suo preferito, tutti i suoi film sono oggi reperibili grazie al restauro di R. Rohauer di molte pellicole ritrovate per caso nel 1952 nella sua ex casa di Hollywood. Comico eccellente e singolare, che riesce sempre a osservare e mostrare il lato anomalo e poetico della realtà, ispiratore di altri grandi artisti come J. Tati, o il primo W. Allen (per non parlare dell'italiano M. Nichetti), è stato anche grande regista insegnando che il cinema comico ha una sua specificità linguistica che egli riassume nella frase: «La tragedia è un primo piano, la commedia un campo lungo». (rcp) "