Guido Gozzano è stato un poeta italiano. Ha scritto Alberto Rollo: «Nessuno come Gozzano ha saputo sedurre e cancellare le tracce della seduzione, stare fra il racconto e la sua negazione, fra gli entusiasmi globali del liberty e il miraggio della libertà, alla fine dei primi dieci anni del secolo, quando tutto pareva possibile».
Abitò quasi sempre a Torino fino alla morte per tubercolosi, malattia di cui aveva avvertito i sintomi fin dal 1904. Iscrittosi alla facoltà di giurisprudenza non terminò mai gli studi, preferendo frequentare i circoli letterari cittadini, che gli fecero conoscere alcune esperienze internazionali del decadentismo europeo, da Jammes a Maeterlink a Verhaeren. Spesso soggiornò, anche per curarsi, nell’antica villa di Aglié Canavese, «Il Meleto», e sulla riviera ligure. Tra il dicembre del 1912 e il febbraio del 1913 fece un viaggio in India e a Ceylon che raccontò in una serie di articoli sulla «Stampa», poi raccolti postumi, nel 1917, nel volume Verso la cuna del mondo. Nel 1907 pubblicò la prima raccolta di versi, La via del rifugio, che gli assicurò subito successo di pubblico e di critica. Ma la sua poetica si definì in termini più precisi e originali nei Colloqui, una raccolta del 1911, che contiene alcune delle sue composizioni più note, come il poemetto La signorina Felicita. Di minor valore i volumi di novelle e di fiabe (I tre talismani, 1914, e i postumi La principessa si sposa, 1917; L’altare del passato, 1918; L’ultima traccia, 1919) e l’incompiuto poemetto entomologico Le farfalle; mentre è interessante, sul piano del documento biografico, il carteggio (Lettere d’amore, postume, 1951) con Amalia Guglielminetti, che fu legata a G. da un’inquieta relazione. Concentrata attorno alle due raccolte di versi, la sperimentazione poetica di G. occupa un posto centrale nella letteratura e nel gusto del Novecento. Esempio di «dannunzianesimo rientrato» (Sanguineti), G. riconduce una certa manipolazione manieristica del linguaggio a un patetismo borghese, ingenuo e provinciale, ma criticamente realistico e soprattutto capace di uno straniamento ironico rispetto al «sublime» poetico proclamato dal «canto» dannunziano. Vale a dire che, recuperando la lezione pascoliana e distanziandosi dal liberty e dal simbolismo, egli rinnova lo status stesso della poesia, evidenziando la collocazione equivoca del poeta nella cultura e nella società contemporanea. Tutto questo si trasforma, sul piano stilistico, nella capacità di dar vita a un dettato prosodico che, muovendosi su un registro depurato dall’enfasi, ripropone un rapporto sentimentale, non declamato, con la realtà. Iniziatore del cosiddetto crepuscolarismo, G. ha esercitato un influsso notevole su alcuni poeti di questo secolo, in particolare su Montale.
Illustrazione di Valentina Zotti, 2023