LA VITA
Quarto dei sette figli di un modesto chirurgo, trascorse l’infanzia e l’adolescenza tra Valladolid, Salamanca, Siviglia e Madrid; qui, nel 1569, Juan López incluse in una sua relazione alcune poesie di C., definendone l’autore «il nostro caro e amato discepolo»: è questa l’unica testimonianza sulla sua educazione umanistica. Ma già dal 1568 C. si trovava in Italia, al seguito di Giulio Acquaviva: era fuggito per evitare la condanna al taglio della mano destra e a dieci anni d’esilio, decretata contro di lui perché ritenuto colpevole del ferimento di un tale Antonio de Segura. In Italia fu prima cortigiano e, in seguito, militare; la scelta della carriera delle armi lo fece partecipare alla battaglia di Lepanto (1571): imbarcato sulla galera «Marquesa», volle combattere malgrado le cattive condizioni di salute e fu ferito al petto e alla mano sinistra, di cui perse l’uso. Nel 1572 partecipò alla spedizione navale di Navarino; nel 1573 alla presa di Biserta e di Tunisi. In quello stesso anno risiedette in Italia e, due anni dopo, si imbarcò da Napoli sulla galera «Sol» per raggiungere la Spagna; la nave si distaccò dal grosso della flotta e fu assalita da tre navi di corsari turchi presso il delta del Rodano: C. fu catturato e condotto ad Algeri, dove fu venduto come schiavo e dove rimase cinque anni, organizzando ben quattro tentativi di fuga, tutti falliti. Finalmente, il 24 ottobre 1580, fu riscattato e s’imbarcò per la Spagna. Appena arrivato, si recò in Portogallo da Filippo II: ottenne un incarico da svolgere a Orano e, al ritorno, tentò invano di partire per l’America.
Nel 1584 sposò Catalina de Salazar y Palacios e fino al 1600 abitò a Siviglia, percorrendo l’Andalusia come commissario per la fornitura di viveri all’Invincibile Armata; il fallimento di un banchiere lo coinvolse e gli procurò la scomunica e il carcere a Siviglia (1602). È qui, forse, che nacque la prima idea del Don Chisciotte. Scarcerato, si stabilì a Valladolid; ingiustamente sospettato di aver ucciso un cavaliere, conobbe di nuovo la prigione per un breve periodo; nel corso dell’indagine furono rivolte accuse infamanti alla moralità delle sue due sorelle e della figlia naturale Isabel. Per seguire la corte di Filippo III si trasferì a Madrid: da questo momento, nonostante gli stenti che non lo abbandonarono mai, cominciò a trovare «l’intatta forza del genio da cui man mano che gli si spegne la vita nascono le opere più grandi», e scrisse in pochi anni buona parte, e il meglio, della sua vasta produzione.
LE OPERE
C. iniziò la carriera letteraria con la novella pastorale Galatea (La Galatea, 1585). Di ben più alta qualità risultano le 12 Novelle esemplari (Novelas ejemplares, 1613). Tra quelle di ambiente nobile ricordiamo La spagnola inglese (La española inglesa: una giovane andalusa, rapita dagli inglesi, riuscirà a coronare il proprio sogno d’amore), La zingarella (La gitanilla: Preciosa ama un cavaliere, che vivrà con gli zingari per seguirla; si scoprono le nobili origini di Preciosa e i due possono sposarsi) e La nobile sguattera (La ilustre fregona). Tra le novelle di ispirazione realistica, ambientate tra gli umili: Rinconete y Cortadillo, storia di due lestofanti, L’ingannevole matrimonio (El casamiento engañoso, di cui fa parte Il dialogo dei cani, confidenze e ricordi dei cani Berganza e Cipión) e Il dottor Vetrata (El licenciado Vidriera: Tomás Rodaja impazzisce e si crede di vetro). Il romanzo Il fantastico cavaliere don Chisciotte della Mancia (El ingenioso hidalgo don Quijote de la Mancha) – noto in Italia con il titolo più breve di Don Chisciotte* – fu pubblicato in due tempi: la prima parte uscì nel 1605, la seconda nel 1615. Tra la prima e la seconda parte del Don Chisciotte, C. scrisse, oltre alle Novelle, Il viaggio nel Parnaso (El viaje del Parnaso, 1614, la più lunga delle sue composizioni poetiche), Otto commedie e otto intermezzi (Ocho comedias y ocho entremeses, 1615), in cui sono compresi Pedro de Urdemalas, la migliore opera teatrale cervantina, e l’intermezzo Il teatrino delle meraviglie (El retablo de las maravillas), il più riuscito di questi brevi quadri popolareschi, che con C. trovano la loro più compiuta espressione. Postuma è la novella I travagli di Persiles e Sigismonda (Los trabajos de Persiles y Sigismunda), la cui dedica è datata 19 aprile 1616; quattro giorni dopo, lo scrittore morì.
L’ARTE DI CERVANTES NELLA CRISI RINASCIMENTALE
C. si trovò a vivere la fase di passaggio dal sec. XVI al XVII: e se la sua formazione culturale si svolse pienamente in clima rinascimentale, la sua esperienza umana, le sue vicende individuali lo portarono a partecipare in prima persona all’inizio di un grave momento di crisi per il mondo europeo. Ciò non poteva non imprimere impulsi decisivi alla sua attività letteraria: il passaggio dal rinascimento al barocco trova in lui un interprete, personale e unico, profondamente radicato nei problemi dell’uomo di quel tempo; e, forse più di ogni altro, C. sollecita il discorso verso il bisogno di scoprire il sogno, la fantasia, l’ignoto, la follia, l’istinto, di portare all’aperto la zona in ombra della coscienza umana. Dalla crisi del sentire rinascimentale, quindi, germoglia un desiderio irrefrenabile di nuove condizioni esistenziali, in cui l’uomo non sia più irrigidito in un gioco prestabilito di rapporti sociali, ma possa realizzare la propria individualità: don Chisciotte, l’idealista e folle cavaliere mancego, e Sancho, il suo scudiero dal tenace, realistico buon senso, sono espressioni diverse, e non contrastanti, di questa esigenza, motivo centrale di quello che può essere definito il primo grande romanzo moderno.
C. conosceva a fondo gli scrittori suoi contemporanei, spagnoli e italiani, e in più Aristotele, Platone, Orazio ecc.; il suo stile si uniformò, per certi aspetti, alle esigenze estetiche del rinascimento: ma nelle sue pagine troviamo anche una libera creazione di mondi e sentimenti, dove letteratura e vita si fondono con spregiudicatezza d’invenzioni e d’intuizioni. Talvolta, quindi, la prosa di C. appare intessuta di ampi periodi simmetrici (nella Galatea, nel Persiles ecc.); altre volte, più concordemente con la sensibilità cervantina, il discorso si fa semplice, diretto, realistico e «familiare» (è il caso di alcune Novelle e, ancor più, del Don Chisciotte). La lettura del Don Chisciotte, insomma, deve (oltrepassando l’interpretazione romantica, che si è intromessa per lungo tempo a offuscare il rapporto con la materia romanzesca) non limitarsi più a vedere in don Chisciotte il «cavaliere dell’ideale», in perenne lotta con la realtà (impersonata da Sancho); quel che più conta è cogliere come il disagio di vivere, punto di partenza di questa esperienza, sfoci nell’accesa prefigurazione di un mondo sempre vagheggiato ma mai esplorato.