(Dublino 1856 - Ayot St. Lawrence, Hertfordshire, 1950) commediografo, narratore e saggista irlandese. Nato da una famiglia protestante del ceto medio, ridotta alla povertà e divisa dopo che il padre, alcolizzato, aveva perso il suo impiego, nel 1876 raggiunse a Londra la madre, insegnante di canto, cercando, tra molte difficoltà economiche e incertezze, la propria strada. Aderì alla Fabian Society, il movimento socialista che ebbe profonda influenza sugli intellettuali inglesi, e pubblicò nel 1889 i Saggi fabiani (Fabian essays in socialism). Dopo un infelice esordio come romanziere, entrò nel mondo del giornalismo e dal 1890 al 1894 fu un ascoltatissimo critico musicale (con lo pseudonimo «Corno di bassetto»), dallo stile caustico e brillante, e non sempre imparziale: alla totale incomprensione per Brahms si accompagnava un acceso entusiasmo per Wagner, che gli ispirò il saggio Il wagneriano perfetto (The perfect wagnerite, 1898). Nel 1891 aveva scritto La quintessenza dell’ibsenismo (The quintessence of ibsenism) e in nome della drammaturgia ibseniana condusse strenue battaglie come critico drammatico della «Saturday Review» (1895-98), sostenendo, in polemica col repertorio del tempo, un teatro che fosse «una fucina di pensieri, una guida della coscienza, un commentario della condotta sociale, una corazza contro la disperazione e la stupidità, e un tempio per l’Elevazione dell’Uomo». Queste idee sono alla base della sua produzione drammatica, che risente molto, specie all’inizio, anche del fabianismo. Nel 1892 iniziò la sua carriera di drammaturgo, destinata a durare quasi sessant’anni, con Le case del vedovo (Widower’s houses), cui seguirono L’uomo troppo amato (The philanderer, 1893) e La professione della signora Warren (Mrs Warren’s profession, 1894), una delle sue commedie più celebri, che, tra l’altro, si attirò i fulmini della censura perché trattava senza esprimere alcuna condanna morale, un argomento scottante come la prostituzione femminile. Prive di qualsiasi concessione al sentimentalismo, sarcastiche, brillantissime, furono le commedie Le armi e l’uomo (The arms and the man, 1894), Candida (1895), una delle più acute e forse la più «ibseniana» delle sue opere; Non si può mai dire (You never can tell, 1897). Nel 1898 si sposò con l’ereditiera irlandese Charlotte Payne-Townshend e da allora si dedicò completamente al teatro, scrivendo decine di lavori di enorme successo, molti dei quali per il Royal Court Theater di Granville-Barker. Si ricordano, in particolare: Cesare e Cleopatra (Caesar and Cleopatra, 1899); Uomo e superuomo (Man and superman, 1903), trasposizione moderna del mito di Don Giovanni; L’altra isola di John Bull (John Bull’s other island, 1904), ambientato in Irlanda; Il maggiore Barbara (Major Barbara, 1905); Androclo e il leone (Androcles and the lion, 1913); Pigmalione (Pygmalion, 1914), forse la sua opera più famosa presso il pubblico; e Casa Cuorinfranto (Heartbreak house, 1920), sulla fine dell’Inghilterra edoardiana. Il successivo Ritorno a Matusalemme (Back to Methuselah, 1921-22) consiste di cinque brevi drammi in chiave insolitamente ottimistica, sull’evoluzione del genere umano; mentre Santa Giovanna (Saint Joan, 1923), considerata il suo capolavoro, è una tragicommedia sulla sorte paradossale riservata dagli uomini ai «salvatori», ai santi e agli eroi. Del 1928 è il saggio Guida al socialismo per una donna intelligente (The intelligent woman’s guide to socialism); del 1929 una delle sue migliori e più indiavolate commedie, Il carretto delle mele (The apple cart). Nel 1925 il premio Nobel per la letteratura coronò l’attività letteraria di un enfant terrible, di un dissacratore saggio, ormai divenuto una solida istituzione dell’anticonformismo. Deciso fautore di un teatro di idee fondato su un programma di rigenerazione sociale (si autodefinì un «predicatore travestito da saltimbanco»), illuministicamente fiducioso nella bontà e razionalità della natura umana, singolare impasto di marxismo anarchico e di vitalismo alla Butler, S. è stato un commediografo d’eccezione. Padrone della tecnica teatrale, è sempre in grado di calcolare e controllare l’effetto di ogni battuta. E delle sue commedie sopravvivono soprattutto la scioltezza del dialogo, l’intelligenza e la vivacità del dibattito, l’acuta caratterizzazione dei personaggi: esse sono la versione moderna della settecentesca «commedia di costumi». S. scrisse fino a tarda età e perfino nelle ultime opere lampeggia a tratti, ma sempre calda e arguta, l’antica verve: in Troppo vero per essere buono (Too true to be good, 1932); in Ginevra (Geneva, 1938), una satira contro la Società delle Nazioni; in Ai bei tempi del buon re Carlo (In good King Charles’s golden days, 1939).