Figlio di Alighiero II degli Alighieri e di Bella, Dante appartiene a una famiglia della piccola nobiltà guelfa fiorentina, di scarse risorse economiche. Ma questo non gli impedisce di frequentare la vita elegante della città e di dedicarsi agli studi. Prima dei 18 anni è infatti già istruito in grammatica, logica e retorica, e compone versi in volgare.
La giovinezza di Dante è piena di una vita ricca di esperienze che lo rendono parte attiva della nobile società fiorentina del suo tempo.
Tuttavia è soprattutto l'esperienza dell'inappagato sentimento amoroso verso Beatrice che lascia la traccia più profonda per la formazione della sua personalità di poeta. Il loro primo incontro risale al 1274 e da allora inizia a scrivere di questo amore seguendo prima la lirica cortese della suola siciliana e dei guittoniani in Toscana e addentrandosi in seguito nel cerchio aristocratico dei nuovi poeti appartenenti al Dolce stil novo.
La morte prematura di Beatrice nel 1290 accentua in Dante il processo di idealizzazione dell'amata e chiudendo l'opera La vita nuova, si assume l'impegno di prepararsi a un'opera ancora più grande.
Nel periodo successivo approfondisce la sua cultura letteraria e filosofica con lo studio delle opere di Virgilio, Orazio, Cicerone e Seneca.
Il fervore e lo studio con cui coltiva il suo grande amore non lo estraniano dalla vita politica della sua città.
Firenze è teatro di feroci lotte tra due fazioni guelfe: i Bianchi, che perseguono una politica di autonomia e i Neri, legati da interessi mercantili al papato. Per quanto Dante si sforzi di restare super partes, le manovre di papa Bonifacio VIII lo spingono a schierarsi con i Bianchi. Nel 1301, infatti, il papa cerca di debellare definitivamente i Bianchi ma Dante, che da pochi mesi è parte del consiglio dei Cento e che l’anno precedente è stato priore di Firenze, cerca di placarlo. Mentre si trova a Roma dal pontefice, i Neri si impadroniscono di Firenze e iniziano una dura repressione. Accusato di baratteria, concussione e opposizione al papa, Dante è invitato a discolparsi ma rifiuta di presentarsi davanti ai giudici, così il nel 1302 gli vengono confiscati i beni, mentre la multa e l’interdizione perpetua dai pubblici uffici, inflittegli precedentemente, vengono commutate in esilio perpetuo. Nei primi tempi dell’esilio Dante cerca di collegarsi ai fuoriusciti ghibellini ma, disgustato e sfiduciato dall’inconcludenza dei suoi compagni, si isola e si rassegna a cercare una sistemazione presso le corti dell’Italia settentrionale. Sono anni di intenso lavoro: scrive la Divina Commedia, il Convivio e il De vulgari eloquentia.
Tra il 1312 e il 1313 compone in latino il De monarchia con cui interviene nella tematica del rapporto tra autorità laica e autorità religiosa. Ritrova la forza di continuare il suo esilio. Non lascia però l'occasione di dire la sua e invia un'epistola ai cardinali italiani per renderli consapevoli del danno che causato alla religione italiana dopo lo spostamento della sede pontifica ad Avignone.
Dal 1318 Ravenna diviene dimora stabile del poeta che concluderà qui la sua vita: muore a settembre del 1321.