Harriet Beecher Stowe è stata una scrittrice statunitense. Figlia di un ministro calvinista, ma nutrita, fin dall’infanzia, di letture romanzesche e libertarie, dalle Mille e una notte alle opere di G. Byron e di W. Scott, ebbe la prima rivelazione della realtà della schiavitù a Cincinnati, dove la famiglia si era trasferita nel 1832. Ritornata nell’Est, tra il 1851 e il 1852 pubblicò a puntate sul «National Era» il romanzo La capanna dello zio Tom (Uncle Tom’s cabin, 1852), destinato a una immensa popolarità. Sotto gli stereotipi lacrimosi del best seller sentimentale si cela, visibile oggi, una precisa analisi dei vari aspetti, dal sessuale al sadico, del razzismo; se lo «zio Tom», il pio schiavo nero perseguitato, protagonista del romanzo, fu assunto dalla cultura afroamericana come figura del nero integrato, il libro ebbe una funzione storica, riconosciuta dallo stesso presidente Lincoln, nel promuovere la causa abolizionista. Tra i romanzi successivi della Stowes, ricordiamo, Dred, racconto della grande palude desolata (Dred: a tale of the great dismal swamp, 1856) e Gente d’altri tempi (Oldtown folks, 1869).