Compositore. Q la precoce formazione e i primi lavori. Figlio di Rosario B., organista, maestro di cappella e compositore di musica sacra, e di Agata Ferlito, dimostrò una precocissima attitudine alla musica, tanto che a sei anni scrisse la sua prima composizione. Prese le prime lezioni dal nonno Vincenzo Tobia, organista e compositore, e dal padre; presto si fece conoscere come organista e compositore di musica sacra e di canzoni nelle chiese e nei salotti della città, e nel 1819 il comune di Catania gli offrì i mezzi per recarsi a studiare al conservatorio di Napoli. Qui ebbe per maestri G. Furno, G. Tritto e N. Zingarelli; quest'ultimo lo indirizzò allo studio del melodramma napoletano e delle opere strumentali di Haydn e Mozart. Durante gli anni di conservatorio B. continuò a comporre musica sacra e cameristica (si ricorda la romanza Dolente immagine, che fu la sua prima opera a stampa). Nel 1825, come lavoro finale del corso di composizione, presentò l'opera semiseria Adelson e Salvini, il cui successo gli procurò l'incarico di scrivere un'opera per il teatro San Carlo (Bianca e Fernando, poi mutata in Bianca e Gernando, 1826). Q gli anni milanesi. Nel 1827, su invito dell'impresario Barbaja, scrisse un'opera per la Scala di Milano; nello stesso anno si trasferì a Milano, anche per dimenticare l'infelice passione per Maddalena Fumaroli. La nuova opera, Il pirata, possiede già alcuni tratti caratteristici del teatro belliniano, e inaugura quella feconda collaborazione con il librettista Felice Romani che durerà fino alla penultima opera (Beatrice di Tenda, 1833). Dal 1827 al 1833 B. visse a Milano, ospite conteso della migliore società e oculato amministratore del suo genio: riusciva infatti, cosa non comune in quei tempi, a vivere coi soli proventi delle sue opere. Dal febbraio all'agosto 1833 fu, per ragioni di lavoro, a Londra, poi a Parigi, dove morì di una malattia intestinale della quale soffriva da tempo. Q le opere teatrali: ispirazione lirica e struttura drammatica. È nel breve arco di otto anni, dal 1827 al 1835, che nacquero le grandi opere teatrali di B., cioè la parte della sua produzione alla quale è affidata in modo pressoché esclusivo la sua immagine di compositore nell'ambito del romanticismo italiano; le musiche cameristiche e strumentali, infatti, non portano che scarsi elementi alla definizione della sua figura. Da Il pirata attraverso La straniera (1829) e I Capuleti e i Montecchi (1830) – che elabora molto materiale di una sfortunata Zaira (1829) scritta per l'inaugurazione del nuovo Teatro ducale di Parma – a La Sonnambula (1831), Norma (1831) e I Puritani (1835), il teatro belliniano si precisa in un organismo di straordinaria densità e precisione. Il numero relativamente esiguo delle opere non dipende solo dalla brevità della vita di B., ma anche da un programma di lavoro: «... io mi sono proposto», scriveva il musicista nel 1828, «di scrivere pochi spartiti, non più che uno l'anno, ci adopro tutte le forze dell'ingegno, persuaso come sono che gran parte del loro buon successo dipenda dalla scelta di un tema interessante, da accenti caldi di espressione, dal contrasto delle passioni». Questa visione squisitamente romantica dell'opera in musica si realizza in B. attraverso una sintesi personale delle norme classiche inculcategli dallo Zingarelli e della vitalità quasi gestuale dello stile rossiniano, raggiungendo concretezza drammatica nell'adesione ai tempi del risorgimento («Suoni la tromba e intrepido», da I Puritani, fu definita «la marsigliese italiana»). Sempre, in B., la melodia costituisce il fulcro espressivo del dramma: ma benché la struttura melodica si mantenga, nella maggior parte dei casi, regolare e simmetrica (ad esempio, frasi formate da 4 + 4 oppure da 8 + 8 battute), la semplicità e la sobrietà raccomandate dalle norme classiche vengono travolte da un'ardente enfasi lirica che le libera da ogni peso di costrizione e le reinventa come spontanee immagini e formule di bellezza. L'uso funzionale degli abbellimenti e delle progressioni melodiche, l'inserimento di ampi periodi cantabili nei recitativi, il «crescendo lirico» ottenuto sui tempi lenti, dilatano la melodia e le conferiscono una sensualità affatto nuova, a cui concorre anche la particolare sensibilità armonica, con frequenti scambi maggiore/minore, sottile uso della dissonanza e modulazioni a toni lontani (si vedano, per esempio, La straniera e I Puritani). L'opera belliniana si esprime ancora nelle tipiche forme chiuse del melodramma settecentesco, ma esse vengono piegate, attraverso una nuova articolazione interna, alle esigenze delle diverse scene. Esigenze non solo della rappresentazione e del racconto, cioè dettate dal ritmo più incalzante dei libretti romantici, ma anche e soprattutto di natura espressiva: più che la psicologia del personaggio, infatti, B. tende a mettere in luce il senso, il clima della scena, sia quelli lirico-sentimentali, sia quelli suggeriti o imposti via via dall'evolversi della situazione drammatica. La parte orchestrale delle opere di B. non presenta gesti caratteristici ma, pur mantenendosi sulla linea di una «classica» semplicità, mostra un gusto quasi sensuale per le sonorità e il colore timbrico, e a tratti – specie nella sezione centrale delle arie – emerge dallo sfondo per mettere in evidenza motivi e spunti melodici.