Compositore russo.
Gli anni di formazione e la fase modernista. Allievo del conservatorio della città natale, si accostò ai più attivi movimenti dell'avanguardia rivoluzionaria, con Prokof'ev, Majakovskij, Meyerhold ecc. Nel 1926 la Sinfonia n. 1 lo rivelò sul piano internazionale, mettendo in luce una spregiudicata e originale assimilazione dei più vari ritrovati della musica contemporanea europea, sorretti da una straordinaria disinvoltura tecnica. Oltre a influssi di Rimskij-Korsakov e Prokof'ev, la sua produzione giovanile (sinfonica, da camera e teatrale), risente del neo-oggettivismo tedesco e francese, in particolare di Hindemith: vi domina un piglio aggressivo dai tratti grotteschi e ironici, timbricamente esuberante ed estroso nel ritmo; il suo linguaggio armonico ora sfocia nell'atonalità ora nella politonalità, dando vita a costruzioni di estrema complessità, con ricorso costante a sviluppi polifonici grandiosi ma sempre plastici ed espressivi; il jazz, i temi popolari, la caricatura della musica borghese si affiancano all'impegno di trasmettere con linguaggio realistico gli ideali rivoluzionari. Direttore del Teatro della Gioventù operaia di San Pietroburgo (allora Leningrado), si volse presto alle scene con due capolavori assoluti: Il naso (1930), da Gogol', di robusta efficacia caricaturale, e la drammatica Lady Macbeth del distretto di Mcensk (1934), che polemicamente interpreta il delitto di Macbeth come gesto di rivolta antiborghese ambientato nel sec. xix (l'opera fu poi riveduta nel 1963 col titolo Katerina Izmajlova).
Il recupero della tradizione. Accusato di «formalismo» dalla critica più intransigente, a partire dalla Sinfonia n. 5 (1937), il compositore si prefisse di elaborare un linguaggio più semplice e comprensibile, astenendosi da radicalismi d'avanguardia e osservando schemi tradizionali entro i limiti della sintassi tonale, senza però perdere in originalità e vigore espressivo. A sperimentazioni più ardite continuò tuttavia a concedere un certo spazio, soprattutto nella produzione da camera. Una seconda autocritica in seguito al rapporto Zdanov del 1948 segnò un adeguamento di S. agli impianti monumentali del sinfonismo tardoromantico di Mahler e Cajkovskij e a toni celebrativi, con una più esplicita adesione a programmi ideali e rievocativi e un crescente ricorso al materiale folclorico russo: Sinfonie n. 10 (1953), n. 11 «L'anno 1905» (1957), n. 12 «In memoria di Lenin, o L'anno 1917» (1961), e n. 13 per basso, coro e orchestra su testi di E. Evtusenko (1962). Una certa indulgenza all'enfasi e all'accademismo non bloccò tuttavia gli stimoli della sua fantasia e soprattutto quella vivace apertura ai problemi del moderno linguaggio musicale che fecero di lui la guida delle più giovani generazioni di musicisti dell'ex Unione Sovietica. La sua vitalità creativa rimase intatta sino agli ultimi anni, come testimoniano la Sinfonia n. 14 del 1969, in cui riaffiorano toni di cupo e drammatico pessimismo, e la più lirica e contemplativa Sinfonia n. 15 (1971), nonché gli ultimi tre quartetti per archi (1970-74). Una sinfonia n. 16 fu appena abbozzata pochi mesi prima della morte.
L'opera nel complesso. Oltre alle due opere teatrali citate e alle 15 sinfonie, la sua produzione comprende: l'opera incompiuta Il giocatore e l'operetta Mosca, quartiere Cerëmuski (1959); i balletti L'età dell'oro (1930), Il bullone (1931) e Chiaro fiume (1935); molte musiche di scena e per film; l'oratorio Il canto delle foreste (1949), una cantata patriottico-celebrativa (1952) e il «poema» per basso, coro e orchestra L'esecuzione di Stepan Razin (testo di Evtusenko, 1966). La sua produzione orchestrale comprende inoltre numerose suites (anche col coro) tratte dai balletti e dalle musiche da film, 2 Ouvertures e il Poema sinfonico Ottobre (1967); due Concerti per violino, due per pianoforte, due per violoncello. Di grande rilievo è la produzione cameristica, che conta un primo capolavoro nel Quintetto per pianoforte e archi (1940), ma ha il suo nerbo soprattutto nella formidabile serie dei 15 quartetti composti nell'arco di 35 anni (1938-74), fra cui spiccano il n. 8 in do minore (1960), quasi autobiografico nell'impiego di un tema ricavato dalle iniziali del nome (D.S.C.H.), i n. 9, 12 (1968, su un tema dodecafonico) e gli ultimi due, cioè gli introversi ed enigmatici n. 14 e 15. Da segnalare, inoltre, i 2 Trii per violino, violoncello e pianoforte, la Sonata per violino e pianoforte (1968) e la Sonata per viola, ultimo suo lavoro (luglio 1975). Complessivamente meno significative sono le composizioni pianistiche, che contano tuttavia alcuni capolavori, come le due Sonate (1926-42) e i 10 Aforismi (1927), e molte pagine di sapiente artigianato: 7 Pezzi infantili (1947), 24 Preludi e fughe (1950-52, moderno «remake» del Clavicembalo ben temperato di Bach); inoltre, la Suite (1922) e il Concertino (1953) per due pianoforti. Da segnalare infine i due cicli di liriche da camera su poesie di A. Blok (per soprano e trio con pianoforte, 1967) e di Marina Cevtaeva (per contralto e orchestra da camera, 1974).