(New York 1888 - Boston 1953) drammaturgo statunitense. Figlio di un attore, iniziato precocemente al teatro e a una vita nomade, maturò sotto il segno dell’inquietudine; dopo gli studi in rigide scuole cattoliche, frequentò per un anno Princeton, che lasciò per sposarsi e tentare l’avventura. Nel 1909 partecipò a una spedizione esplorativa nell’Honduras; nel 1910 s’imbarcò come marinaio: fece vela per Buenos Aires e navigò poi tra Sudafrica, Inghilterra e Stati Uniti. Conclusa l’esperienza rivelatrice del mare, fu attore con il padre e cronista in un giornale di provincia nel Connecticut; nel 1913, minato dalla tubercolosi e dall’alcol, dovette accettare il ricovero in sanatorio. Dall’inerzia e dalla lettura di Dostoevskji e di Strindberg, che si aggiungeva a quella, cruciale, di Conrad, nacque la risposta creativa dei suoi primi atti unici. Nel 1916 si stabilì a Provincetown, dove vennero rappresentati, negli anni successivi, i suoi drammi marini, In viaggio per Cardiff (Bound east for Cardiff, 1916), Il lungo viaggio di ritorno (The long voyage home, 1917), La luna dei Caraibi (The moon of the Caribbees, 1916). Con il dramma in tre atti Al di là dell’orizzonte (Beyond the horizon, 1920), costruito sul conflitto tra avventura e norma, sogno e veglia, O’N. ottenne il premio Pulitzer, consacrazione di un teatro originalmente americano. Da allora la sua esistenza - sconvolta da divorzi, nuovi amori, tragedie familiari - s’identificò con l’attività teatrale, con la sperimentazione scenica, con l’intervento diretto (l’organizzazione del Greenwich Village Theatre; la fondazione del Theatre Guild). Nel 1936 gli fu assegnato il premio Nobel, al quale seguì un lungo silenzio interrotto nel 1946 da Arriva l’uomo del ghiaccio (The iceman cometh, 1946), inizio dell’ultima stagione creativa. Morì solo in una stanza d’albergo.O’N. esordì sotto l’influenza composita di Strindberg e di Ibsen, dei tragici greci e degli elisabettiani; in assenza di una tradizione teatrale autenticamente americana, riuscì a filtrare e a comporre in una concezione drammatica nuova stereotipi tanto diversi grazie alla sua complessa, sofferta cultura, che gli permise di decifrare i miti greci e biblici e di sviluppare le potenzialità eroiche e mitiche dell’America contemporanea alla luce di Freud e di Nietzsche. Le tecniche dell’espressionismo si combinano con motivi o materiali darwiniani del naturalismo in L’imperatore Jones (The emperor Jones, 1920) e Lo scimmione (The hairy ape, 1922), drammi al cui centro sono due diverse concezioni del «primitivo» e del «selvaggio»; e in Tutti i figli di Dio hanno le ali (All God’s chillun got wings, 1924) e Desiderio sotto gli olmi (Desire under the elms, 1924). In Il grande Dio Brown (The great God Brown, 1926) le maschere sono usate per simboleggiare drammaticamente il paganesimo di cui è imbevuto il materialismo moderno. Strano interludio (Strange interlude, 1928), lungo dramma imperniato sulle frustrazioni di una famiglia, è caratterizzato dall’espediente delle battute «a parte» che traducono scenicamente il «flusso di coscienza» della narrativa contemporanea. Nella trilogia Il lutto si addice ad Elettra (Mourning becomes Electra, 1931) al fato greco si sostituisce il destino «psichico» dell’uomo moderno, scandito dalla psicanalisi: la tragedia degli Atridi si ripete sinistramente in una famiglia della Nuova Inghilterra, i cui codici repressivi scatenano, in coincidenza con gli influssi disgregatori della guerra civile, l’impulso all’autodistruzione. Arriva l’uomo del ghiaccio, che riunisce nello spazio archetipico di un bar un gruppo di diseredati, è percorso da un grandioso presagio di morte: dramma finale di quelle illusioni cadute e di quei sogni dissipati, che sono materia anche dell’autobiografico Lungo viaggio verso la notte (Long day’s journey into the night), rappresentato postumo nel 1956.