Maria Silvia Vaccarezza è assegnista in Filosofia Morale presso il DAFIST dell’Università di Genova, dove ha conseguito il titolo di Dottore di ricerca nel 2012. Tra i suoi scritti, Le ragioni del contingente. La saggezza pratica tra Aristotele e Tommaso d’Aquino (Orthotes, Napoli-Salerno 2012), la monografia Razionalità pratica e attenzione alla realtà. Prospettive contemporanee (Orthotes, Napoli-Salerno 2012) e una traduzione presso Bompiani, corredata di introduzione e note, delle Quæstiones de virtutibus di Tommaso d’Aquino. Con A. Campodonico ha pubblicato il volume La pretesa del bene. Teoria dell’azione ed etica in Tommaso d’Aquino (Orthotes, Napoli-Salerno 2012). Interazione tra intelletto, volontà e appetito sensitivo Complessa e di capitale importanza è la concezione tommasiana dei rapporti reciproci tra intelletto e volontà. Assolutamente considerato, l’intelletto è più elevato della volontà, perché il suo oggetto è più semplice e più assoluto, ed è posseduto rimanendo in se stessi; però, mentre oggetto della volontà sono il bene e il male, che si trovano nelle cose, dell’intelletto lo sono il vero e il falso, che sono nella mente. Perciò, se si considera qualcosa che è inferiore alla mente, è più elevato l’intelletto, mentre se si tratta di qualcosa che è superiore è più elevata la volontà. Ecco perché, in questa vita, l’amore di Dio è meglio della sua conoscenza. Occorre in particolare considerare due aspetti nei quali si verifica un intreccio di intelletto e volontà: l’esercizio di un atto e la sua specificazione. L’esercizio è il fatto che una potenza stia compiendo un atto o meno; la specificazione, il fatto che un atto sia diretto a un oggetto o a un altro; il primo ha come fonte l’agente, mentre la seconda l’oggetto. Sul piano dell’esercizio, la volontà muove se stessa, mentre sul piano della specificazione è mossa dall’intelletto, nel senso che è l’intelletto a presentarle l’oggetto; perciò, dal punto di vista dell’esercizio, non c’è alcun atto che la volontà debba necessariamente esercitare: siccome, infatti, l’atto della volontà dipende dalla presentazione dell’oggetto da parte dell’intelletto, è sufficiente smettere di pensare all’oggetto per non esercitare alcun atto, cosa che vale anche nel caso della felicità perfetta. Invece, dal punto di vista della specificazione, ci sono oggetti che si vogliono necessariamente, cioè la felicità in generale e Dio nella sua essenza, che in questa vita nessuno può cogliere.