João Guimarães Rosa è stato uno scrittore brasiliano. Proveniente da una ricca famiglia di allevatori, trascorse l’infanzia nel mondo del sertão, lo sconfinato e deserto entroterra brasiliano, in cui avrebbe ambientato poi la sua opera narrativa. Si dedicò dapprima alla medicina, poi alle scienze naturali e infine alla carriera diplomatica. Fu ambasciatore del Brasile ad Amburgo durante la seconda guerra mondiale e poi a Bogotá, Parigi e presso l’Unesco. Scrisse romanzi e racconti in cui raffigurò gli accesi paesaggi e i costumi dello stato di Minas: Sagarana (1946), Grande Sertão (Grande Sertão: veredas, 1956), la sua opera maggiore, Corpo di ballo (Corpo de baile, 1956), La terza sponda del fiume (Primeiras estórias, 1962), Tutaméia (1967, nt), Queste storie (Estas estórias, 1969, nt) e Ave palavra (1971, nt) postumi. Rosa è considerato il più radicale inventore di una «lingua» brasiliana autonoma, distinta dalla portoghese, nella linea dello sperimentalismo linguistico promosso dai «modernisti» del 1922. La sua prosa densa e originale fa di lui uno dei classici della nuova letteratura latino-americana. Le sue opere, dapprima riduttivamente interpretate come i frutti di una letteratura regionalista, conchiusa nella testimonianza dell’esperienza-limite della vita violenta di banditi e bovari negli altipiani aridi del Brasile, sono state in seguito più giustamente interpretate come allegorie dell’eterno confronto degli uomini con la natura ambigua e misteriosa del male. Nella poetica di Rosa il dato locale, finito, personale viene assunto come tramite di lettura e rappresentazione del reale nella sua totalità, anche metafisica, con esiti di eccezionale efficacia.