Come il vento tra i mandorli
di Michelle Cohen Corasanti
“Non si può vivere di rabbia, figlio mio” “Mi arrampicai sul nostro mandorlo: Abbas e io l’avevamo soprannominato Shahida, testimone, perché passavamo così tanto tempo tra i suoi rami a guardare gli arabi e gli ebrei che ormai era un compagno di giochi, e si meritava un nome. L’uli-vo a sinistra di Shahida era Amal, speranza, e quello a destra era Sa’dah, felicità.” Palestina, metà degli anni cinquanta. Mentre il conflitto arabo-israeliano infiamma, Ichmad scopre per la prima volta la violenza e la paura. La sua famiglia viene costretta dall’esercito israeliano a trasferirsi in un misero fazzoletto di terra rallegrato soltanto da una pianta di mandorlo, unica fonte di sostentamento e ristoro. Ma i problemi non sono finiti: quando il padre di Ichmad viene imprigionato con l’accusa di aver nascosto delle armi, spetta al primogenito prendersi cura della madre e dei fratelli. Ichmad deve trovare un lavoro, e in fretta. Suo unico conforto, il mandorlo in fondo al giardino. Anno dopo anno, ingiustizia dopo ingiustizia, i suoi fratelli soccombono all’odio verso Israele, invece Ichmad lotta per dare un senso a ciò che lo circonda e, grazie alla sua intelligenza matematica, vince una borsa di studio per l’università. Intanto il mandorlo resta lì, in fondo al giardino d’infanzia. Mentre la Storia fa il suo corso. Ichmad, ormai adulto, riesce a emigrare negli Stati Uniti e finalmente capisce cosa siano l’amore e il lutto, la rabbia e il perdono. E, riappropriandosi delle sue radici, finalmente ricomincia a sognare. )
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