“Creare è come guardare nel buio. Prima non si vede nulla, poi la vista piano piano si abitua. Ecco, bisogna avere il coraggio di guardare nel buio. Creare significa scrutare nel buio, rinunciare a rifugiarsi nella memoria di quello che è già stato fatto, sfidare l’ignoto. Anche con insolenza e ostinazione. Senza questa ostinazione, che io trovo sublime, si resta soltanto alla periferia delle cose.” Comincia un giorno d’estate al porto di Genova, a pochi passi dallo studio di Punta Nave, il lungo viaggio per mare di Renzo Piano e di suo figlio Carlo. A guidarli è un desiderio mitico e ancestrale. Vogliono trovare Atlantide. Atlantide è la città perfetta, perché ospita una società perfetta. E come tale, è il sogno di ogni architetto, l’idea regolativa che muove la sua creatività. Per trovarla, Piano ritorna nei luoghi in cui per tutta la vita ha inseguito la perfezione, costruendo nel mondo intero le proprie opere. Naviga con il figlio nel mezzo del Pacifico, sulle rive del Tamigi, ad Atene, a San Francisco. Raggiunge l’isola costruita nella baia di Osaka per ospitare l’aeroporto da lui progettato. Che cosa significa cercare la perfezione? E perché cercarla ritornando a luoghi modificati dal tempo? Perché il senso del costruire di Renzo Piano resiste alle pericolose illusioni della modernità di cui la ferita del Ponte Morandi di Genova è uno dei tragici simboli. Forse non esiste nessuna perfezione. Ogni opera architettonica porta con sé i segni del tempo. Conserva le memorie e le tradizioni, si innesta nel paesaggio e cambia insieme all’ambiente circostante. Per questo progettare significa innanzitutto prendersi cura del territorio e dei suoi abitanti.)
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