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Heinrich Zimmer era un grande studioso dell’India, ma in questo libro – forse il suo più affascinante – ha voluto presentarsi come «dilettante fra i simboli». Dilettante significa qui colui che trova un inesauribile diletto nelle immagini, nelle storie che, rampollando di civiltà in civiltà, accompagnano la nostra memoria e, intrecciandosi le une con le altre, finiscono per avvolgerci in una rete che non ci è meno vicina della rete dei nostri nervi. Nodi di quella rete sono i simboli, e questo libro è dedicato appunto a «coloro che si dilettano di simboli, amano conversare con essi e amano vivere tenendoli continuamente presenti». Ai simboli si applica la sentenza delle Upanisad: «L’abbondanza si attinge dall’abbondanza, eppure l’abbondanza rimane». La loro ricchezza non viene intaccata dall’usura del tempo, e nessuna interpretazione riesce a sequestrarla. La loro muta presenza è un continuo invito ad affrontare il «compito interminabile di sondare le acque tenebrose del significato»: di quelle acque Zimmer è un mirabile traghettatore.
Guidati da lui, ritroveremo in queste pagine le grandiose intemperanze degli dèi indù ma anche seguiremo la storia dell’avaro Abu Kasem e delle sue maligne babbucce, che non vogliono abbandonarlo, o quella del principe irlandese Conn-eda o le vicende di Lancillotto e Merlino, che qui si dispongono con luminosa precisione nel luogo che a loro è destinato sul manto incantato di Maya: l’uno come immagine dell’Amante, perennemente fedele nella sua infedeltà, l’altro come immagine del Mago, che alla fine preferisce lasciarsi ingannare dalla sua stessa magia. Zimmer non ha certo l’ingenua pretesa di strappare d’imperio il loro segreto a queste storie auguste e beffarde, sa che le storie vogliono innanzitutto continuare a essere raccontate e che, per cogliere il senso dell’Avventura, bisogna abbandonarsi all’avventura della narrazione. Così per questo libro ha inventato una forma peculiare e felice, che è insieme racconto e riflessione, in equilibrio fra una limpida arte narrativa, che ricorda Hofmannsthal, e una sapienza psicologica che accenna a Jung: un delicato, esaltante processo di riappropriazione delle immagini, perché tornino a circolare nelle nostre vene.
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