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Nel suo libro «Il pane nella credenza», Raffaella Mattana descrive in modo mirabile i ricordi della fanciullezza che affollano e si accavallano nella sua mente. Racconta una società priva di televisione, dove gli anziani del paese narravano ai bambini storie di fate, streghe e personaggi vari frutto della loro fervida fantasia. I bambini restavano così affascinati che entravano a loro volta a far parte della narrazione, cercando di «colorare l’aria con i [loro] aquiloni, con le [loro] corse giù dai pendii, con le [loro] risate». Ogni ricordo dell’infanzia della scrittrice è racchiuso nella sfera affettiva familiare che li custodisce e li protegge amorevolmente dalle contaminazioni esterne perché, come essa stessa scrive, «correvamo liberi come le rondini a primavera». Le sue muse ispiratrici segrete sono soprattutto le sue nonne, Apollonia e Angela, che le hanno fatto scoprire il mondo delle fate e dei ricordi, in un mondo irrealisticamente incantato. Lodevole è la descrizione del racconto «I bambini del pollaio», dove i ragazzi di Arcumeggia giocavano «felici come le rondini nel cielo sereno, mettendo allegria ai vecchi che [li] guardavano». Raffaella Mattana afferma che «l’arte colora la vita di tutti giorni. È come un raggio di luce che filtra attraverso la fessura di una finestra socchiusa, durante una giornata di sole, ed illumina il pulviscolo nel buio e lo fa vibrare come le ali di una farfalla intrappolata nella tela del ragno. L’arte è l’elevazione sublime dell’anima verso l’infinito». Ed è in questa prospettiva letteraria che bisognerebbe leggere i racconti della scrittrice che narra le vicissitudini giovanili dei ragazzini che hanno animato la sua adolescenza, all’ombra del San Martino, ad Arcumeggia, in provincia di Varese. In molti racconti, il dialetto lombardo impreziosisce i ricordi di un passato scomparso nei meandri dei rimpianti, i dialoghi sono lineari e coinvolgenti ed arrivano direttamente al cuore del lettore, senza passare attraverso la lente deformante di un virtuosismo letterario che possa in qualche modo alterare la realtà delle vicende narrate. Memorabile è la storia narrata nel racconto «La stria Frolinda», dove «il pane e la focaccia cuocendo nel forno profumavano tutta la casa e quando furono cotti, l'allegria e la felicità di tutti nel cibarsene fecero perdere alla donna l'idea di avanzare quella focaccia per la strega». La maggior parte delle sue storie sono state scritte di getto, all’ombra del suo passato, che la scrittrice conserva gelosamente nei suoi ricordi e che sono state raggruppate, con una naturalezza sorprendente, all’interno del suo libro. Racconti brevi da leggere con attenzione per apprezzare il passato di una scrittrice che ricorda la sua giovinezza, vissuta in una contrada sperduta del varesotto, alla ricerca di un mondo fantastico di fate, di streghe e di gnomi perché, come scrive Gabriel García Márquez, «la vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla». Un libro che sorprenderà positivamente il lettore, alla ricerca di una scrittura innovativa e coinvolgente, che lo prenderà per mano e lo accompagnerà nel mondo delle favole. Sergio Melchiorre
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