Letteratura americana contemporanea
Il trauma storico dell’11 settembre ha indotto gli scrittori anglo-americani a interrogarsi, in una chiave meno genericamente multiculturale, sul rapporto dell’America con le sue origini, e a ripensare, oltre il sogno americano, l’esperienza di emigrazione come esilio, il patrimonio delle comunità emigrate come segno di appartenenza. Narratori quali Sandra Cisneros, Jonathan Safran Foer, Jeffrey Eugenides, fino agli italoamericani postmoderni d’ispirazione formalista come Mary Caponegro e Don DeLillo, tendono a riconciliarsi con il loro passato e la loro matrice europea, in un’acuta percezione della fine dell’eccezionalismo e del desiderio di assimilazione in un paese non più predominante sulla scena internazionale. Il nuovo senso d’isolamento sottolineato da teorici quali Judith Butler, Noam Chomsky e Susan Sontag si riflette anche in letteratura come racconto di una storia locale di regioni periferiche – il Montana dei racconti di Annie Proulx – oppure come consapevolezza della povertà che preme oltre la frontiera col Messico (Rick Moody), per aprirsi a una rinnovata prospettiva di pace e di rinascita. La consapevolezza di una perduta centralità – espressa anche nelle teorie di Francis Fukuyama sulla fine della storia nel senso marxiano – e l’estensione su scala globale di un modello di democrazia occidentale, che avviluppa una minoranza benestante liberata dallo spettro del comunismo dentro un incubo consumistico, trovano rappresentazioni paranoiche a partire da Rumore bianco di DeLillo, e poi in Demonologia di Moody e Le correzioni di Jonathan Franzen. Nell’era del terrore e della manipolazione mediatica va consolidandosi, anche nelle nuove generazioni (David Foster Wallace; Richard Powers), l’eredità intellettuale del romanzo postmoderno, i cui epigoni appaiono più avvezzi dei loro maestri all’immaginario della rete e delle nuove tecnologie, rilanciando in chiave critica il rapporto tra potere e controllo delle coscienze, tra comunicazione e manipolazione. Proprio a fronte della sfida cognitiva lanciata dalla produzione mediatica di fattoidi e di traumi storici ad alto impatto emozionale, autori come Roth, DeLillo, Pynchon, Paul Auster, Powers, Kent Haruf vanno a compensare l’inattendibilità delle cronache ufficiali riscrivendo pagine inedite o perdute di storia americana. In una consistente revisione del passato si recupera l’assassinio in moviola di JFK (DeLillo), si ripensa il Settecento lungo la linea Mason/ Dixon (Thomas Pynchon), si ripercorrono i due conflitti mondiali del Novecento per illuminare il nuovo scacchiere della guerra infinita. La scrittura ridefinisce il suo spazio critico a fronte dello strapotere audiovisivo, inaugurando stili capaci di assorbire tecniche cinematografiche e modalità espressive di ordine visivo anche in stretto dialogo con generi fantastici e dinamici come il fumetto e la fantascienza – Michael Chabon, Jack Womack, Dave Eggers, Jennifer Egan, Peter Cameron, Cormac McCarthy, Jonathan Lethem. La coscienza delle censure del presente in un mondo in cui ogni cosa è potenzialmente filmabile favorisce, nel teatro, l’emergere di un dramma neobrechtiano che risitua la voce critica delle minoranze etniche e sessuali nel quadro dell’emergenza aids e dell’omosessualità. Accanto a Rachel Kushner, drammaturghe afro-americane come Suzan-Lory Parks e Ntozage Shange rilanciano il teatro cinematico di Tennessee Williams nello sforzo di risituare, come avviene nei romanzi di Edmund White, le problematiche della diversità sessuale entro un affresco epocale più ampio. Anche la poesia rielabora in senso mitico il clima d’isolamento culturale e di solitudine venuto a prodursi dopo l’11 settembre (Louise Gluck, Premio Nobel per la letteratura nel 2020), portando nel discorso poetico la lacerazione di cataclismi e di demolizioni pubbliche e private. Nell’ambito di una letteratura più popolare e di genere la società statunitense è lo scenario delle opere di Stephen King, Joe R. Lansdale; tra le scrittrici ricordiamo il ruolo centrale di Donna Tartt, Joan Didion, Anne Tayler.
Letteratura statunitense nella seconda metà del Novecento
Alla fine della Seconda guerra mondiale non ci fu una reazione immediata fra gli scrittori, come era avvenuto nel 1918, se si eccettua l’imponente fenomeno del «romanzo di guerra. Per vari anni Hemingway e Faulkner, pur invecchiati, sembrarono dominare il campo. In realtà si verificava un fenomeno nuovo, ossia l’emergere di singoli narratori ebrei o afroamericani i cui personaggi si proponevano non come figure di «minoranza», ma come americani rappresentativi. Ciò spiega l’immenso successo dei romanzi e saggi di James Baldwin, dell’Uomo invisibile di Ralph Ellison, e di opere come Herzog di Saul Bellow, Il barile magico di Bernard Malamud, e Il lamento di Portnoy di Philip Roth. Le storie di innocenza ferita e purezza violata di J.D. Salinger, che nel Giovane Holden creò un Huckleberry Finn del nostro tempo, e i saggi e i romanzi aggressivi di Norman Mailer, che già nel Nudo e il morto aveva tracciato un’allucinante mappa del potere in America, sono ulteriori esempi dei differenti apporti che gli scrittori di origine ebraica hanno dato alla letteratura americana contemporanea.
Nella seconda metà degli anni Cinquanta si delineò un altro fenomeno destinato a incidere: con la pubblicazione di Urlo di Allen Ginsberg, Sulla strada di Jack Kerouac e Il pasto nudo di William Burroughs, la «beat generation» annunciava il suo arrivo sulla scena. L’opera di questi giovani, estatica e iconoclastica, stravagante e innovatrice agì come un'ondata di energia che valse a infrangere il torpore dell’America compiaciuta e cruenta, dando inizio al dibattito politico della «controcultura» degli anni Sessanta e a un rinnovato interesse per ogni forma di sperimentalismo e alla ricerca di alternative espressive, o mistiche, alla civiltà «occidentale».
Alla revisione della storia americana «ufficiale», avviata dagli eredi delle minoranze oppresse – ossia dai neri e dagli indiani riconosciutisi nei movimenti del «Black Power», delle «Black Panthers» come LeRoi Jones e del «Red Power» – corrisponde la spinta autobiografica verso il recupero del passato e del folclore. Ogni etnia riformula o modella il linguaggio americano secondo le inflessioni del proprio patrimonio. Ne derivano opere singolari, al confine tra due culture, tra due universi sociali e linguistici, come Casa fatta d’alba dell’indiano N.Scott Momaday o Mumbo Jumbo del nero Ishmael Reed. Escono dal silenzio collettivo anche le donne, che, con l’esplodere del movimento femminista, ricostruiscono la propria oppressa identità storica mediante indagini rigorose. Accanto a nomi noti come quello di Grace Paley e Jayne Anne Phillips vengono riscattati quelli del passato recente: così la poesia di Silvia Plath, suicida a trent’anni, viene riscoperta nel suo notturno splendore e confrontata con quella del suo maestro, Robert Lowell. Tra i fenomeni più rilevanti della «marginalità» trasformatasi in autocoscienza è la produzione letteraria delle donne nere, da Toni Morrison (premio Nobel nel 1993) ad Alice Walker, che, nel corso degli anni Settanta, rifondano il romanzo afroamericano radicandolo nella memoria collettiva del mito e del «parlato».
La sperimentazione narrativa assume il carattere di un singolarissimo processo all’America condotto tramite il fantastico, le satire, il comico, o mediante processi formali di frammentazione e discontinuità che intendono rispecchiare le distorsioni del «reale». Una serie di opere, pubblicate tra il 1961 e il 1983, documenta il percorso della narrativa americana dal «black humor» – con Comma 22 di Joseph Heller – alle varie forme del new journalism – con A sangue freddo di Truman Capote, Le armate della notte e Il canto del boia di Norman Mailer; dalla fabulazione postmoderna, ironica e dissacrante – con V di Thomas Pynchon, i racconti di Donald Barthelme, le «finzioni» di Robert Coover – alla scoperta di una nuova visionarietà – con Cattedrale di Raymond Carver – e alla rinascita del racconto, che coincide con l’esperienza del minimalismo. Giovani scrittori di successo come David Leavitt, Jay McInerney, Bret Easton Ellis e scrittrici come Amy Hempel e Susan Minot, inseguono, a metà anni Ottanta, il miraggio di un nuovo realismo, in cui gli oggetti e i segmenti del quotidiano sono chiamati a certificare le emozioni e i drammi di una società sedotta e lacerata dalle nuove modalità di rapido arricchimento. Se la lezione del postmodernismo è destinata a durare, il «mito» del minimalismo si appanna: tra i protagonisti degli anni Novanta si affermano narratori come Richard Ford e Cormac McCarthy, costruttori di epiche in positivo o in negativo. Il vulcanico e metamorfico Philip Roth ritorna a imporsi, con Pastorale americana, come il romanziere d’America. Nel campo del teatro, agli intramontabili Arthur Miller ed Edward Albee si affiancano David Mamet e Sam Shepard.