Tra novecento e anni duemila
La nuova letteratura giapponese si può ricondurre a due tendenze principali. La prima è ancorata, con sfumature diverse e senza disdegnare le avanguardie occidentali, alla tradizione e comprende gli autori più conosciuti in occidente, da Kawabata Yasunari, premio Nobel per la Letteratura nel 1968, a Tanizaki Jun'ichirō e a Mishima Yukio; la seconda, opera della generazione seguente, si ricollega, attraverso la letteratura proletaria e del dopoguerra (sengoha), a una svolta progressista di apertura internazionale: i suoi esponenti affrontano soprattutto i temi inquietanti dello sviluppo sociale, della ripresa postbellica, dell’ambiguo «miracolo economico». È quanto mostrano autori quali Abe Kōbō e Òe Kenzaburō, premio Nobel per la letteratura nel 1994. A partire dalla fine degli anni Settanta, infine, con l’influenza sempre più massiccia di cinema, musica pop e rock e nuova letteratura soprattutto di matrice americana, si è assistito a una svolta «pop» (non a caso pop bungaku, letteratura pop, è il termine coniato dai critici giapponesi per indicare la produzione letteraria più recente) che ha dato vita al postmoderno nipponico, caratterizzato dalla netta frattura con tutta la letteratura precedente e la ricerca di nuove forme espressive figlie della contemporaneità, tanto nel linguaggio e nello stile quanto nei contenuti. Ne sono principali esponenti autori che hanno riscosso grande successo descrivendo l’universo contemporaneo con la lingua semplice ma efficace del quotidiano ed esprimendo in maniera diretta la vasta gamma dei sentimenti e delle emozioni umane: Murakami Haruki, Takahashi Gen'ichirō, Murakami Ryū, Yamada Eimi e Yoshimoto Banana, la giallista Togawa Masako, fino al successo decretato dai lettori per Satoshi Yagisawa.
Qualsiasi approccio alle manifestazioni della civiltà giapponese non può prescindere dal chiarimento dei suoi rapporti con la cultura cinese. Il Giappone è tributario della Cina per vari aspetti: il sistema ideografico di scrittura, la forma di governo centralizzata, il buddhismo e il neoconfucianesimo, le tecniche artistiche. Ma la civiltà giapponese non è la pedissequa imitazione di quella cinese: essa ha espresso una letteratura originale, producendo opere di narrativa di grande valore assai prima della Cina (e dell’Occidente), dando vita a caratteristiche forme poetiche (tanka e haiku), elaborando raffinati capolavori drammatici.
Dalle origini al settecento
Le più antiche opere letterarie giapponesi di cui si ha notizia sono andate perdute. Le prime a noi pervenute sono il Kojiki (Cronache di antichi eventi, 712 d.C.) – scritto in man’yògana, ovvero con caratteri cinesi usati talvolta semanticamente e talvolta solo per il loro valore fonetico – e il Nihongi o Nihonshoki (Annali del Giappone, 720 d.C.), scritto in cinese. Prima vera pietra miliare della letteratura giapponese è il Man’yoshù (Raccolta di diecimila foglie, 760 d.C. ca), comprendente oltre 4500 poesie, dove si riscontra già la completa originalità della poesia nipponica, breve, con versi di 5 e 7 sillabe alternati. Non vi è esplosione di sentimenti, né insistita descrizione di situazioni o stati d’animo. Le antologie successive al Man’yoshù, tra cui il Kokinshù o Kokinwakashù (Raccolta di poesie giapponesi antiche e moderne, 920 ca) e lo Shinkokinshù o Shinkokinwakashù (Il nuovo Kokinshù, 1201-06), mostrano come si giungesse a una poesia in un certo senso manieristica, cristallizzata nella forma e nel contenuto ma di eccezionale valore.
Si deve a Matsuo Bashō (1644-94), massimo rappresentante del genere haikai, se – attraverso un’ulteriore concisione (appena 17 sillabe ripartite in 3 versi) – la poesia giapponese trovò nuova originalità e purezza espressiva.
La letteratura giapponese antica è espressione delle classi sociali più elevate. Il più noto genere letterario giapponese, il monogatari (lett. racconti di cose), contribuì a imporre l’uso della lingua scritta soprattutto grazie alla vena narrativa delle dame di corte. Intorno al sec. IX, il monaco buddhista e poeta Kùkai o Kòbò Daishi (774-835) inventò il sillabario kana, che consta di semplici segni di solo valore fonetico tratti dai caratteri cinesi e usati successivamente soprattutto dalle donne: così, quando il monogatari si affermò per la genuina ispirazione e la purezza dei sentimenti descritti, impose a sua volta il modo di scrivere con i kana. All’origine del monogatari stanno in particolare due filoni, uno composto da brevi racconti mitici o epici, un altro derivato dalle introduzioni ai tanka. Unificando i due filoni, la dama di corte Murasaki Shikibu (978 ca - 1014 ca) scrisse il Genji monogatari (La storia di Genji), una delle maggiori opere narrative della letteratura mondiale. Questo lungo romanzo fu seguito, grazie al suo successo, da molte opere consimili. In quasi tutti questi racconti, così come nei nikki (diari), al centro della narrazione vi sono la corte imperiale o un eroe illustre, una famiglia dominante, un personaggio influente. All’aristocrazia, si aggiungeranno poi monaci e samurai. Salvo poche eccezioni, il popolo non è mai oggetto di attenzione. Ciò vale anche per una delle maggiori forme teatrali: il nò, teatro classico che assume la sua definitiva struttura nel corso del sec. XIV con l’opera di Zeami Motokiyo (1363-1443). La perfetta fusione di recitativo, canto e musica ne fanno, ancora oggi, uno spettacolo straordinariamente suggestivo, anche se quasi inintelligibile ai più. Il kabuki e il jòruri o bunraku, teatro dei burattini, si affermarono invece nel sec. XVII come teatro popolare, dal gusto più semplice e immediato rispetto al nò, grazie soprattutto a Chikamatsu Monzaemon (1653-1724). Il favore goduto dal kabuki e dal jòruri è conseguenza del sorgere della nuova classe sociale dei chònin, i mercanti. Da loro viene, in letteratura come in arte, la spinta a nuove ricerche e a nuovi indirizzi. Si affermano, grazie alla particolare vena pseudorealistica e umoristica di Ihara Saikaku (1642-93), gli ukiyozòshi, brevi racconti popolari illustrati, imperniati su storie d’amore nei quartieri di piacere e spesso licenziosi, che spostano la tematica dalle ormai statiche vicende aristocratiche al vivace mondo dei mercanti e del popolo. Il vivificante contributo dei chònin alla cultura dei secc. XVII e XVIII, così come lo sviluppo di studi eruditi in ambito cinese e giapponese a opera di intellettuali della classe samuraica, sono gli elementi distintivi della letteratura premoderna, e costituiscono il presupposto della rapida evoluzione dei due secoli successivi.
L’ottocento e il novecento
Nel corso del sec. XIX le nuove esigenze poste dai chònin, l’influsso esercitato dalla corte dell’imperatore (il capo spirituale, contrapposto allo shògun, il capo militare che detenne per secoli il potere effettivo), la pressione politico-culturale dell’occidente determinano profondi mutamenti.
Dopo due secoli e mezzo di isolamento quasi totale si verifica una progressiva apertura agli influssi stranieri; nel periodo Meiji (1868-1912) si studiano i più recenti movimenti letterari occidentali e si traducono molte opere. In letteratura emergono esigenze e tematiche nuove, che si esprimono attraverso i circoli letterari e le molte riviste fondate alla fine del sec. XIX. Il mondo letterario svolge un ruolo fondamentale anche in ambito sociale, segnalando, attraverso un’ingente produzione di opere, i mali della vita giapponese. Si cerca di evidenziare i problemi che una società ancora legata a una mentalità feudale crea in un contesto «moderno», attraverso un’analisi psicologica accurata dei personaggi e delle situazioni. Sono questi gli anni della grande letteratura d’introspezione di Natsume Sōseki (1867-1916), Nagai Kafū (1879-1959) e Mori Ōgai. (1862-1922), per citare i nomi più noti. Il grande rinnovamento interessa naturalmente anche il teatro, che vede la nascita prima dello shinpa (nuova scuola) e poi dello shingeki (nuovo teatro). Il primo era una versione molto realistica del kabuki, con attrici che per la prima volta affiancavano i colleghi uomini sulla scena. Il secondo costituiva invece un’autentica reazione al teatro classico e s’ispirava completamente al teatro occidentale e agli ideali stanislavskijani.
Negli anni Venti, accanto alla produzione degli autori di prima grandezza, fiorì il filone della cosiddetta puroretaria bungaku (letteratura proletaria), che si ispirava a ideali comunisti e alla lotta operaia. Dagli anni Trenta sino al 1945 il quadro è dominato dalla propaganda nazionalista e dagli eventi bellici, descritti in seguito tragicamente da autori quali Ibuse Masuji (1898-1993) e Òoka Shōhei (1909-88).