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Anno edizione: 2016
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Fin da ragazzo, allorchè si parlava soprattutto della seconda guerra mondiale, una frase ricorrente era “Italiani brava gente” in contrapposizione ad asserzioni del tipo “ i tedeschi erano belve assetate di sangue”. Poichè sono italiano mi sentivo quasi orgoglioso, mi vedevo in guerra coraggioso sì, ma pure pietoso, disponibile ad aiutare le famiglie dei nemici. Era un mantra che finiva per portare alla convinzione che i nostri soldati fosseri diversi, soprattutto dai tedeschi, degli autentici eroi, ma anche stimati se non addiruttura amati dal nemico. Poi, leggendo testi di storia seri, e quindi non basandomi su quelli scolastici, quasi mai sinceri, ho scoperto purtroppo che anche noi non eravamo bravi, magari non avevamo messo in pratica un olocausto, non eravamo arrivati nelle città sovietiche per ammazzarvi prima di tutti gli ebrei e poi anche altri cittadini, tanto per dare un esempio e restare in esercizio. Invece, le occupazioni fasciste sono state sostanzialmente in linea con quelle naziste, nonostante anche di recente alcuni distinguo da parte di politici, uno su tutti Silvio Berlusconi, che vede il fascismo come un fenomeno politico-sociale nel complesso del tutto normale, fino all’alleanza con Hitler, il cui funesto influsso poi portò a degenerazioni senz’altro esecrabili. Non è così, ed è inutile che i neo fascisti neghino l’evidenza dei fatti, perché, per quanto a lungo celate come vergogne nazionali, le stragi compiute in Etiopia bastano da sole a dimostrare che Mussolini andava per le spicce, che emanava ordini volti ad effettuare degli eccidi, ordini per lo più eseguiti con la massima partecipazione. Insomma, troppo a lungo abbiamo assistito a un rifiuto collettivo della memoria della dittatura fascista e delle guerre dalla stessa intraprese. E così, siamo pervenuti a un’idea di autoassoluzione con quegli “italiani brava gente”. Come è stato possibile chiudere gli occhi di fronte alle evidenze e credere ciecamente a ciò che ci assolveva? Ecco a queste domande risponde l’interessante saggio storico di Filippo Focardi che non intende aggiungere altro a quelle che sono le ricerche iniziate una cinquantina di anni fa sugli eccidi compiuti dagli italiani, studi che portano la firma di illustri autori, quali Angelo Del Boca e Giorgio Rochat, ma, e questo viene precisato da subito, <questo libro intende ricostruire lo specifico percorso di costruzione di una narrazione italiana dell’esperienza della seconda guerra mondiale.> Detto in parole più semplici il lavoro di Focardi intende dissacrare l’intento revisionistico di non poche opere scritte nell’immediato dopo guerra dai nostri generali sconfitti e dai gerarchi scampati alla punizione che avrebbero meritato, opere che, stranamente – ma poi è abbastanza chiaro il motivo -, sono state recepite come oro colato nei testi scolastici, tutti miranti all’autoassoluzione. Per quanto di non facile lettura, trattandosi di un testo rigorosamente storico e volto a capire i motivi, i modi e i fini di questo processo di autoassoluzione (basti pensare che l’alleanza di Mussolini con Hitler viene vista dai monarchici, dagli antifascisti, dagli agnostici come frutto di un patto privato, come se le responsabilità di entrambi potessero essere tenute separate nell’aspetto civile da quello pubblico), mi sembra che il risultato che si era prefisso l’autore sia stato raggiunto, chiarendo non poche cose. E del resto per enfatizzare il bravo italiano è stato sufficiente esagerare la figura del cattivo tedesco; ora, premesso che è impossibile che tutti gli italiani fossero bravi e tutti i tedeschi fossero cattivi, non bisogna dimenticare che se nell’Unione Sovietica occupata i soldati nazisti spesso e volentieri commisero degli eccidi, anche senza piani preordinati, non devono essere tralasciati quelli compiuti dall’esercito italiano nei Balcani, crimini non dissimili da quelli commessi dal loro alleato. Che dire poi della nostra occupazione in Slovenia con deportazioni in massa nel famigerato campo di concentramento dell’isola di Rab, dove la mortalità era addirittura superiore a quella di Auschwitz? É evidente che il famoso motto evangelico “chi è senza peccato scagli la prima pietra” è alquanto pertinente. E invece si celebrano le vittime delle foibe (beninteso questi poveri italiani sopressi in modo così orrendo comportano un più che giustificato nostro sdegno), ma chissà per quale ragione non si parla degli eccidi da noi commessi in quelle zone, di cui furono vittime non solo uomini, ma anche donne e bambini. Le conclusioni dell’opera sono purtroppo disarmanti, perché Focardi evidenzia come il popolo italiano sia completamente privo dell’etica della responsabilità, di una presa di coscienza su quanto è stato fatto di negativo in passato; questa carenza è assai grave, perché ci impedisce di comprendere gli errori, onde poi evitarli, ci rinchiude in un bozzolo dorato, ma falso, di una memoria autocelebrativa, in cui ci sentiamo vittime, anziché carnefici. É inutile che aggiunga che Il cattivo tedesco e il bravo italiano è senz’altro da leggere.
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